Riflessioni e note a margine ad una ricerca sul crimen magiae

Roma, 7 febbraio 2018

Curioso a dirsi, l’argomento della caccia alle streghe ha suscitato l’interesse di generazioni di studiosi nei più diversi campi, dalla storia del pensiero, del costume, all’antropologia sociale. E nonostante questo la storia del diritto si è occupata solo marginalmente del crimen magiae e dei dibattiti dottrinari che lo hanno circondato. Come è noto la caccia alle streghe fu un fenomeno dell’età moderna di portata europea, dalle proporzioni non ancora accertate e dalle origini ricondotte alle ipotesi più diverse: la persistenza di culti pagani e di superstizioni popolari, la contiguità della prima scienza con la magia, per qualcuno la formazione di uno Stato moderno alle prese con un controllo del territorio sempre più intenso.

Lo storico del diritto che voglia rimpadronirsi del tema dovrà chiedersi su cosa si basasse il crimen magiae – talmente grave da essere sottratto alle regole generali – come dovesse essere accertato in sede processuale, quale spazio fosse accordato all’arbitrium iudicis, e in via generale quale rapporto intrattenesse un pensiero giuridico in progressiva laicizzazione con la teologia.

Il diritto romano dà la prima definizione del crimen. La si ritrova anzitutto nel De maleficiis et matematicis del Codice Giustinianeo (libro IX, Titolo XVIII), che riprende a sua volta un titolo più marginale del Codice Teodosiano. Interessa qui che, a differenza delle elaborazioni successive, per i romani il crimen magiae doveva considerarsi solamente in relazione ai danni: la condotta era punibile solo se implicava una lesione.

Tra le fonti canoniche si occupa del crimen il Canon episcopi, un testo dalle origini più che incerte. Vi si ritrova un atteggiamento della Chiesa perlopiù scettico e moderato: “quisquis ergo aliquid credit posse fieri, aut aliquam creaturam in melius aut in deterius immutari, aut transformari in aliam speciem, vel similitudinem, nisi ab ipso Creatore qui omnia fecit et per quem omnia facta sunt, procul dubio infidelis est et pagano deterior”. La condotta incriminata è ancora la credenza popolare. Nei secoli successivi la superstizione diverrà eresia, non appena la stregoneria verrà più chiaramente agganciata al patto diabolico. Un tornante in tal senso è la Super Illius Specula di Giovanni XXII.

Nel 1484 Innocenzo VIII emanò la Summis desiderantes con cui incaricò i frati Dominicani Heinrich Institor Kramer e Jacob Sprenger di estirpare il male dalla Germania. A due anni di distanza viene pubblicato il Malleus Maleficarum: una summa delle idee circolanti sulle streghe e una base di innesto per fonti normative e dottrina a venire.

Tra il XVI e il XVIII la caccia in Europa assunse dimensioni e tinte diverse: l’Europa centrale perseguì le streghe in maniera ben più sanguinaria dell’Europa meridionale. Studi sono ancora in corso per spiegare la differenza. Un’ipotesi potrebbe darsi nel fatto che nei paesi meridionali fosse più importante perseguire l’eresia che la magia in sé e che, essendo l’azione attrattiva dei Tribunali dell’Inquisizione più forte, fossero più frequenti le penitenze che non il rogo o la confisca dei beni comminati invece dai tribunali laici. Una seconda pista potrebbe essere quella della costruzione processuale del crimine: in Inghilterra non era prevista la tortura, il processo era diverso e le streghe furono pochissime.

Il lavoro presentato da Maria Rosa Di Simone approfondisce la condizione dell’area germanica.

Occorre premettere che l’area continentale fu interessata dal fenomeno con picchi cronologicamente diversi: tra il 1560 e il 1630 nei territori dell’Impero, attorno alla fine del ‘600 nei paesi austriaci, addirittura a metà del ‘700 in Ungheria e Moravia.

Volendo osservare l’evoluzione normativa, vale anzitutto notare che nei paesi austriaci della fine del XV secolo la stregoneria non ha ancora una sua autonomia poiché ancorata all’eresia. Non a caso nel 1489 viene pubblicato il De lamiis, un trattato redatto a seguito del fallimento del Kramer a Innsbruck, arginato nella sua azione sia dal vescovo che dall’Arciduca Sigismondo. Il testo, scettico sui poteri delle streghe, esprime una visione per così dire moderata: se pure è vero che la stregoneria non porta cataclismi, resta dovuta la pena capitale, poiché streghe e stregoni si votano a Satana e abiurano alla fede cristiana. Si attesteranno sulla medesima linea le Ordinanze Criminali di Massimiliano I per il Tirolo (1499) e per la città di Radolfzell (1506).

Bisognerà attendere la Consecutio Criminalis Barbengensis per trovare il crimen dotato di autonomia. 

Un passo decisivo e contrario è segnato dalla Constitutio Criminalis Carolina del 1532, esito di un’elaborazione giuridica più che decennale volta a limitare la caccia. Frutto di un compromesso con i poteri locali, la Constitutio si estende a tutto l’Impero come fonte sussidiaria. Dispone degli indizi e dei poteri del giudice, e riprende buona parte dell’impostazione romanistica. Non a caso prevede la condanna al rogo per i soli maghi che abbiano causato danni e lesioni, attenua le pene per le condotte non dannose, e all’art. 219 dispone che per i casi di dubbio ci si debba rivolgere ai tribunali superiori e alle facoltà giuridiche. La normativa collega al crimen le più diverse condotte (veneficio, sacrilegio, sodomia, rapporti sessuali con animali, blasfemia) ma non menziona l’eresia. Esprime finalmente una posizione più mite e razionale rispetto alle posizioni dei demonologi allora in via di affermazione e anzi diventa il primo sostegno per la dottrina che si oppone alla caccia. Occorre ricordare infatti che in questo periodo il freno è esercitato dalla scienza giuridica e dalla giurisprudenza, poiché da un punto di vista teologico è semplicemente impossibile negare l’esistenza della magia: significherebbe negare l’esistenza del Diavolo.

Un buon esempio si rinviene nella figura di Johann Georg Godelmann, professore di diritto romano e criminale, che ingaggia una polemica aperta con le tesi di Jean Bodin – gran credulone – allora particolarmente accreditate nei tribunali tedeschi: secondo Godelmann fanno stato la Constitutio Carolina e il Canon Episcopi e non De la Démonomanie des Sorciers. E per la precisione il patto col diavolo andrebbe considerato nullo per vizio del consenso (della strega illusa dal diavolo).

Non si può non ricordare anche Friedrich von Spee, autore della Cautio Criminalis del 1631, confessore delle streghe che con i suoi cinquantuno dubia rilevò e pubblicò abusi e assurdità della persecuzione.

Naturalmente non mancò in Germania l’opinione diametralmente opposta, ben impersonata dal Binsfeld, vescovo e rettore di Treviri, autore nel 1589 del De confessionibus maleficorum et sagarum. Per Bisnfeld e per i suoi sostenitori la Constitutio Carolina poteva essere travisata o semplicemente trascurata.

È lecito chiedersi perché la mattanza nei tribunali sia andata avanti nonostante le autorevoli voci contrarie. Annoveriamo tra i responsabili Benedikt Carpzov, giurista tra i più eminenti del suo tempo e sostenitore di una linea di repressione incondizionata. Promosse le idee del Malleus, sostenne la pena del rogo per stregoneria anche in assenza di danni materiali e articolò indizi incriminanti come l’assenza di lacrime o la prova dell’acqua.

Conta qui che molte delle idee propugnate dai demonologi e della dottrina di Carpzov non tardarono a divenire leggi e ordinanze territoriali.

Un’evoluzione intellettuale più drastica prese piede nel XVIII secolo grazie all’opera del Muratori. Si ricorderà la diatriba che si sviluppò tra Trento e Rovereto sull’esistenza della magia e della stregoneria, ma numerose proteste si levarono anche tra gli ecclesiastici della Baviera.

La caccia però ebbe fine sotto l’Impero di Maria Teresa d’Austria e per mano della stessa. A partire dal 1753 furono emanate infatti diverse ordinanze contro altrettante superstizioni, non ultima quella della magia postuma (diffusa in Moravia). Con ordinanza del 1766 Maria Teresa mise mano ai processi di stregoneria. Il testo distingueva anzitutto tre categorie di persone che non potevano essere considerate stregoni: i mistificatori, i malati e gli illusi. Quanto al processo, furono definiti precisamente gli indizi, fu limitato l’uso della tortura, fu proibita la ricerca di segni corporali come furono vietate l’immersione nell’acqua e la somministrazione di bevande e unguenti. Le pene furono graduate, come anche i danni. Da ultimo fu ordinato ai giudici di rinviare a giudizio del Tribunale dipendente dalla stessa Maria Teresa i casi di vera stregoneria. Quanti comparvero innanzi a Maria Teresa finirono perlopiù negli ospedali.

L’ordinanza del 1766 venne trasferita nell’art. 58 della Constitutio Criminalis Theresiana, fonte valida per tutto l’impero e non più sussidiaria come l’antenata Carolina. La caccia finì. E a decretarlo non fu un atto di impulso teologico o dottrinale, ma la saggezza di una sovrana che eliminò la persecuzione modificando il processo.

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