In occasione del Seminario del 6 Dicembre la Dott.ssa Flavia Mancini ha presentato la sua ricerca di dottorato dedicata all’analisi della Congregazione del Buon Governo. Tra le più longeve dello Stato Pontificio, la Sacra Congregatio Boni Regiminis viene creata nel 1592. Come tale costituisce un osservatorio privilegiato del processo di state building ed in particolare della costruzione dell’apparato amministrativo moderno. Longa manus dell’autorità centrale, il Buon Governo svolse un ruolo decisivo nell’esercizio dei poteri di controllo pubblico sulle comunità locali e nel riconoscimento delle appartenenze collettive in seno allo Stato Pontificio. In questo modo contribuì a definire cosa si dovesse intendere per bene collettivo e per communitas: un insieme di individui che appartengono e vivono stabilmente in un certo territorio e, contemporaneamente, la persona giuridica che li rappresenta.
Definizioni preliminari
In via preliminare occorre chiarire alcune definizioni che sono tutt’oggi problematiche: quelle di usi civici, proprietà collettiva e communitas.
Per usi civici si intendono generalmente i diritti collettivi esercitati dalle comunità originarie sulla base di consuetudini o di antiche concessioni. Il termine viene usato oggi in senso a-tecnico al fine di ricomprendere le più disparate situazioni di appartenenza collettiva. Tra gli impieghi del termine si possono ravvisare tuttavia alcuni elementi comuni. Si tratta infatti di diritti generalmente riconducibili alla terra (ed alle utilitates prodotte e ricavate da fondi o pascoli), diritti perpetui, diritti che corrispondono ai membri di una determinata comunità, diritti inalienabili, indisponibili e imprescrittibili, diritti fondamentali (perché legati al soddisfacimento di bisogni essenziali) e di diritti promiscui, perché esercitati da ogni membro della comunità singolarmente e collettivamente (usi singulus et usi civis)
Le proprietà collettive – spesso ricomprese nel dibattito sugli usi civici – sono perlopiù associabili al concetto di demanio civico, ovvero a tutti i beni che appartengono a una specifica comunità. Le difficoltà di definizione e di concettualizzazione hanno ragioni anzitutto storiche. Con il trionfo della codicistica francese il concetto di proprietà collettiva si è ritrovato sacrificato sull’altare della proprietà privata. Basti pensare alla crociata culturale condotta dalle filosofie illuministe e fisiocratiche che vi individuarono un ostacolo allo sviluppo stesso della società. Tale fu l’accantonamento che Cattaneo – studiando i piani di bonifica del piano di Magadino – avrebbe scritto: “questi non sono abusi, non sono privilegi, non sono usurpazioni, è un altro modo di possedere, un’altra legislazione, un altro ordine sociale che inosservato discese da remotissimi secoli sino a noi”.
Il termine di communitas infine riflette una realtà multiforme. Viene utilizzato nelle fonti tanto per definire le persone, il gruppo di abitanti che vivono stabilmente in un territorio, che per individuare la persona giuridica che lo rappresenta. Ciò emerge chiaramente da diverse decisiones rese dalla Rota Romana raccolte dal De Vecchis.
La Congregatio Boni Regiminis
La Congregazione fu creata nel 1592 da Clemente VIII con la Bolla Pro Commissa, che le assegnò poteri di gestione e di controllo economico su tutte le comunità del regno. La bolla nacque quasi come un provvedimento emergenziale: mirava ad intervenire sulle finanze dissestate delle comunità locali creando un soggetto di raccordo con il governo centrale in grado di controllare i bilanci. Circa dieci anni dopo, nel 1605, con la Bolla Cupientes, Paolo V munì la congregazione di poteri giudiziari, con una scelta che, come osserva Giovanni Battista De Luca, “gli diede miglior forma”.
L’ampiezza delle competenze giudiziarie assegnate alla congregazione dalla bolla Cupientes fu tale da estendersi a
omnes et quascumque causas, tam civiles quam criminales et mixtas ad Communitates et Universitates quascumque Status nostri ecclesiastici nobis mediate et immediate subiectas, tam active, quam passive pertinentes, per se vel alios ab eis subdelegandos, audiendi, discutiendi, examinandi, expediendi, et terminandi, ad omnia alia et singula in eadem constitutione [=Pro Commissa] contenta executioni demandanda…
La congregazione si trovò così dotata di un potere estremamente ampio, legittimato dal concetto di tutela. Nelle decadi successive intervennero altre bolle a portare modifiche o a riorientare l’azione dell’istituzione.
Nel 1701 si assistette a una vera e propria riorganizzazione strutturale, legata alla figura del cardinale Giuseppe Renato Imperiali. Nominato prefetto del Buon Governo, l’Imperiali si vide attribuire un nuovo decalogo di poteri tra cui quello di visita. L’istituto non era nuovo allo Stato Pontificio ma, una volta attribuito alla congregazione, si consolidò e si laicizzò, svuotandosi dei suoi caratteri religiosi.
Sul piano delle competenze giudiziarie la congregazione svolse il suo ruolo di giudice sia in primo che in secondo grado. Come già accennato, è attraverso il contenzioso del Buon Governo che si riesce a percepire la dimensione del fenomeno dell’appartenenza collettiva. Nel 1801 un motu proprio di Pio VII accollò tutti i debiti contratti dalle comunità locali in capo alla Camera Apostolica e stabilì che in contropartita venissero incamerati i beni comunicativi a beneficio dell’amministrazione centrale. Si annoverarono spesso tra questi i beni collettivi, e le reazioni delle comunità locali non tardò. Si scatenò in quei primi anni del secolo una fitta serie di ricorsi da parte delle popolazioni. Tale fu la mole che il pontefice dovette rivedere quanto disposto con due atti successivi: il motu proprio del 1803 – con cui si precisavano le condizioni dell’incameramento – e quello del 1807, con cui si intimava agli agenti incaricati dell’incameramento di interrompere il procedimento ogniqualvolta sorgesse un dubbio sulla titolarità del bene. Si legge nel 1807 infatti
“… seguendo gl’impulsi del nostro paterno cuore per i maggiori vantaggi de’ nostri sudditi, non abbiamo potuto non vedere con rincrescimento, che non ostante le diverse providenze date col motu proprio del 19 marzo 1801, ed altro successivo de’ 14 luglio 1803…alla retta amministrazione de’ beni delle comunità dello stato …pure non erasi ancora pienamente conseguito l’intento… Crediamo ancora necessario, ed anche consentaneo alle massime di giustizia, di nuovamente approvare, e ordinare insieme la più esatta esecuzione di quanto dalla nostra Sacra Congregazione del Buon Governo fino dal principio del 1803 ci fu proposto in riguardo alle questioni di pertinenza di alcuni beni, pascoli e pretesi diritti, o popolari o appartenenti a qualche particolare corporazione di cittadini… Di fatti conoscemmo fin da allora che se si fosse lasciato aperto l’adito a simili questioni di pertinenza, l’amministrazione generale de’ beni avrebbe fluttuato sempre nell’incerto; sarebbesi compromessa la dignità dell’anzidetta Congregazione nel dovere per proprio officio sostenere tanti litigi con le comunità alla di lei cura affidate; e quel che è più l’assicurazione da noi data ai creditori di esser puntualmente sodisfatti de’ frutti, e capitale, sarebbe andata a vuoto, tostoché si fossero separati non pochi beni dalla generale amministrazione da quei medesimi comunisti, e cittadini, che pur dovevano essere bastantemente contenti di esser stati con nostra beneficenza sovrana liberati dall’obbligo uti singuli et in solidum…. Quindi, a togliere affatto tutti questi inconvenienti, de’ quali con nostro dispiacere abbiamo veduto sin qui i funesti effetti, vogliamo ed espressamente ordiniamo, che tutte le questioni sulla pertinenza de’ beni, siano di pascoli, o molini, o altri fondi, siano a nome delle comunità o del popolo, o di qualsisia particolare corporazione, restino sospese intieramente, finché non saranno estinti tutti i debiti comunitativi…”
L’area che più di tutte implicò le aule giudiziarie del Buon Governo fu quella del Patrimonio, che presenta anche oggi un’alta concentrazione di assetti fondiari collettivi (corrispondente all’attuale alto Lazio). Vale la pena notare come negli atti giudiziari – Serie II del Buon Governo – così come nelle suppliche, ricorrano spesso le endiadi Comunità e Popolo, Comunità e Huomini, Sono i soggetti che ricorrevano chiedendo l’esclusione dei beni dall’incameramento. La richiesta fu spesso accolta dal Buon Governo, in nome della titolarità collettiva dei beni direttamente in capo alle popolazioni, oramai riconosciuta.